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"Presenze. Misteriose e definitive". Dal volume "Nasiriyah fonte di vita" di Lucia Bellaspiga e Margherita Coletta
“Non accade a tutti una Grazia come questa. E’ l’arma più potente, l’unica che rende invulnerabili: essere certi dell’amore di Dio fino ad accettare qualsiasi cosa, anche ciò che, al nostro limitatissimo sguardo di uomini, appare come la peggiore delle disgrazie”. Nel dolore, la speranza. Nello sguardo, un desiderio di pienezza. Non una vaga consolazione, ma un anelito di verità, una domanda lacerante: “Perché, Signore?”. E una risposta che Andrea, in una preghiera scritta su un foglio a quadretti nella sua stanza in ospedale, aveva consegnato a un’amica in partenza per un pellegrinaggio: “… comunque sia fatta la Tua volontà, non la mia”. “Non accade a tutti una grazia come questa”. Margherita Coletta lo aveva detto con un sorriso, parlando a chi le aveva chiesto di riproporre, a Varese, l’esperienza di vita scaturita dalla morte di suo marito Giuseppe, da quel seme gettato nella terra di Nasiriyah, e da un altro dolore, il più profondo per una madre: l’addio a Paolo, il figlio che una leucemia aveva portato in cielo a soli sei anni. Come Andrea, che di anni ne aveva diciassette quando i medici gli avevano diagnosticato la stessa, inesorabile, malattia. E che nei mesi delle cure, a casa a Gavirate e nel letto dell’unità di Ematologia del San Matteo di Pavia, aveva testimoniato una docile e coraggiosa adesione al Destino che lo chiamava a sé, combattendo giorno dopo giorno, continuando a studiare sui libri del liceo, affrontando le terapie e sostenendo, con occhi limpidi e leali, i genitori Natalina e Gustavo, il fratello Federico, i nonni, le persone a lui care e anche i medici e le infermiere che si prendevano cura di lui, Stefano, Patrizia, Federica… Andrea ha chiuso gli occhi il 6 dicembre 2008. E da quel giorno la sua presenza, misteriosa e definitiva, ha continuato a operare. Perché, come avrebbe sussurrato Margherita quella sera a Varese: “E’ scritto nel Vangelo: il seme, se non muore, non porta nessun frutto. Dentro un grande dolore c’è qualcosa di ancora più grande. Noi non possiamo capire, ma ci fidiamo e ci affidiamo. Non possiamo conoscere i disegni di Dio, ma possiamo avere la certezza che Dio ci ama”. Se non fosse ragionevole, questa sovrabbondanza d’amore che vince la disperazione, sarebbe pura follia. Un’esperienza che non cancella il dolore, non lo rimuove. Ma lo trasforma, rendendolo fecondo. Con questo desiderio avevamo ascoltato la testimonianza di Margherita. E con un desiderio ancora più vivo l’avevamo cercata e salutata quella sera e ancora nei giorni successivi. Quello stesso desiderio di compagnia nella verità che avevamo riconosciuto e abbracciato nell’amicizia con Attilio e Manuela Aletti, i genitori di Fabio, colpito a quindici anni da un tumore inarrestabile e la cui memoria è oggi segno di speranza e di bene per tutti. Prese forma così, l’idea di condividere un tratto del cammino e di proporre, a Gavirate, una serata che mettesse a tema la Bellezza che sola “salverà il mondo”. Con Margherita e con Lucia Bellaspiga raccontammo di Andrea e di Giuseppe, di come la loro morte avesse reso più chiaro il compito della nostra vita, ascoltammo la voce delle Romite Ambrosiane del monastero di Santa Maria del Monte, contemplammo i disegni di Leonardo Bellaspiga raccolti in un volume con le meditazioni delle monache della clausura varesina e sintetizzati in un titolo che sembrava scritto per noi: “Una casa sulla roccia: il tempo nell’eternità. Luoghi e parole di vita”. Le suore del Sacro Monte si unirono a quella sera, come nei mesi della malattia si erano strette ad Andrea nella preghiera e nel colloquio. Confortando e orientando lo sguardo al Crocefisso, alla Passione e alla Resurrezione. In sala c’erano oltre seicento persone. Mai lo avremmo immaginato. Fu quella l’occasione per annunciare un gesto di carità, non il primo, generato tra noi dalla presenza di Andrea. Insieme avremmo realizzato un pozzo per l’approvvigionamento di acqua potabile nel Burkina Faso, accanto a quello scavato dall’associazione Giuseppe e Margherita Coletta e dedicato alla memoria di Eluana Englaro. Acqua come segno di vita. Andrea, negli ultimi giorni, la cercava spesso, ne avvertiva il bisogno, si bagnava il viso per tenersi sveglio, per resistere alla morfina e vivere con intensità ogni istante. “Che bella l’acqua, mamma – aveva confidato a Natalina – pensa se non esistesse!”. Il pozzo oggi accoglie e disseta adulti e bambini. E’ protetto da mura solide ed è stato costruito con l’aiuto di tanti amici di Andrea, ragazzi che, nel tempo, si sono coinvolti in un’esperienza di crescita umana e artistica, dando vita a una compagnia teatrale nell’ambito dell’oratorio di Gavirate e portando in scena due commedie musicali applaudite da migliaia di persone. Provocati dal Mistero della vita e della morte, hanno cercato nell’amicizia e nell’educazione cristiana il significato che può rendere grandi i giorni della loro giovinezza. Ogni spettacolo, ogni replica si è tradotta in opere missionarie e di sostegno del bisogno. Ha generato incontri e altre amicizie. Come quella con Luca Barisonzi, il sottufficiale degli Alpini ferito in Afghanistan che, dalla sua sedia a rotelle, contribuisce al progetto “Spazio vita” per la cura e la riabilitazione delle persone colpite da malattie spinali all’ospedale milanese di Niguarda. Sessanta ragazzi e adulti hanno danzato, cantato, recitato e sorriso contribuendo a quel progetto nella certezza di essere “Con Andrea”. E’ questo il nome di un’associazione posta a servizio di questo tentativo. Con Andrea, l’associazione ha destinato contributi a favore della clinica di Ematologia dell’ospedale San Matteo di Pavia, dove è stata allestita anche una biblioteca a disposizione dei pazienti ricoverati, e dell’unità operativa di Oncologia dell’ospedale di Circolo di Varese, i luoghi dove Andrea era stato accompagnato nei mesi della malattia. Nel tempo sono state generate altre iniziative piccole e grandi: sono stati promossi interventi a favore dei bambini dei villaggi del Cile, della Fondazione Ponte del Sorriso (l’ospedale materno e infantile di Varese dove sarà allestita una cucina a saranno proposte attività di laboratorio per i piccoli ricoverati e per i loro familiari), del Centro terapeutico e riabilitativo gestito dalla Fondazione Renato Piatti a Besozzo, di presenze missionarie in Togo, nel Niger e in Kenya. Ogni opera, ogni appello a cui si è tentato e si tenterà di dare risposta, sono originati dall’incontro, spesso inatteso, con persone che testimoniano con verità e chiarezza che è possibile condividere, qui e ora, un cammino di speranza verso il vero orizzonte della vita, che è l’Eternità. E’ il dono che Andrea ci ha consegnato prima di abbracciare il Destino che era stato preparato per lui. Quella preghiera scritta sul foglio a quadretti: “Chiederti qualcosa per me sarebbe ovvio, scontato ma soprattutto egoistico. Quindi io ti prego principalmente per la mia famiglia, che superi indenne questo momento difficile. In particolare ti ringrazio per avermi dato delle persone così speciali accanto, che mi danno una grande spinta. Poi, se ti resta un po’ di tempo per gettare un’occhiata anche a me te ne sarò ancora più grato. Comunque sia fatta la tua volontà, non la mia”. Con Andrea
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L'opera delle Missionarie di San Carlo Borromeo in Kenya: una lettera di suor Monica da Nairobi
Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto da Nairobi una lettera di suor Monica Noce, missionaria di San Carlo Borromeo in Kenya, la cui opera è stata sostenuta attraverso iniziative promosse nel corso dell’anno e grazie al generoso contributo di amici. Ne proponiamo a tutti il testo, testimonianza semplice e preziosa di una Presenza che cambia il mondo, grati per un’amicizia in cui desideriamo coinvolgerci sempre più, secondo le modalità che nel tempo ci verranno offerte.
***** Cari amici, sono trascorsi ormai circa nove mesi dal nostro arrivo a Nairobi. I primi passi in questa terra li abbiamo mossi sotto la protezione di Maria, scegliendo come data della nostra partenza la festa mariana della Beata Vergine di Loreto. Siamo state accolte con affetto e attesa da tutti gli amici del movimento, dai sacerdoti e da tutta la comunità di Saint Joseph in Kahawa Sukari, il quartiere dove viviamo e in cui si trova la parrocchia, affidata ai sacerdoti della Fraternità. Il Kenya è una terra affascinante che desideriamo imparare a conoscere e amare sempre di più, per alcuni aspetti così diversa, per altri forse ingannevolmente vicina alla nostra Europa. Quello che è certo è che continuiamo a scoprire e che realmente i desideri più profondi dell'uomo sono gli stessi ad ogni latitudine, benché espressi, a volte, con un accento diverso, e che la cosa più grande che possiamo portare agli uomini che incontriamo è lo sguardo di Cristo. E’ una riscoperta continua nella quotidianità dei nostri piccoli compiti. La parrocchia in cui viviamo include due quartieri molto diversi tra loro: Kahawa Sukari, un zona dove risiedono prevalentemente famiglie benestanti, e Kahawa Wendani, più popolare e povera. La chiesa si trova proprio al confine tra le due aree. In tutti gli ambiti in cui ci troviamo a lavorare queste due realtà convivono, costituendo una sfida e una ricchezza. E’ sorprendente vedere la naturalezza con cui i bambini, pur di diversa estrazione sociale, stanno insieme a scuola o in parrocchia, in aiuto ai sacerdoti di San Carlo, i quali hanno iniziato la loro presenza qui più di 15 anni fa. Conservando una intensa vita comune, che scandisce la nostra giornata e custodisce lo spazio del silenzio e della preghiera, ciascuna di noi ha diversi compiti ed attività in differenti ambiti. Elena e Sara hanno iniziato a lavorare nella scuola della parrocchia, chiamata Urafiki Carovana, una primary school, il corrispettivo delle nostre scuole elementari e medie, che raccoglie bambini e ragazzi dai 5 ai 13 anni. E’ stato affidato loro il compito di insegnare arte. L'intento è quello di arrivare all’arte attraverso la letteratura, associando la lettura di alcuni racconti a lavori manuali, diversi in relazione alle diverse classi. I ragazzi guardano con curiosità ed entusiasmo alla nostra inconsueta presenza. Alcuni di essi vengono spesso a suonare alla nostra porta, sperando di spendere del tempo con noi e giocare nel giardino delle suore, magari con le nostre biciclette, talvolta invitando altri amici. Con un gruppetto sta nascendo un'amicizia interessante. Un ambito che mi coinvolge personalmente, è il gruppo chiamato Ujiacilie, che coinvolge bambini e ragazzi con diverse disabilità fisiche e/o psichiche. Ogni martedì e venerdì mattina, l’appuntamento è in parrocchia alle ore 10, quando arrivano i bambini e i ragazzi insieme alle loro mamme o altri familiari, con il pullman della parrocchia (diversamente per molti di loro sarebbe impossibile raggiungere la chiesa). Don Alfonso aspetta tutti in chiesa, inginocchiato di fronte al Santissimo Sacramento, per un breve momento di Adorazione Eucaristica, in cui i ragazzi partecipano recitando una1 decina del rosario, e cantando "Ujiacilie", traduzione in Swahili del canto "Lasciati fare", oltre ad altri canti della tradizione. E' il momento centrale della giornata, che educa il mio sguardo su me, su questi ragazzi, sugli altri, affinché diventi sempre più simile a quello di Cristo. E' inoltre commovente vedere il modo in cui alcuni di loro partecipano a questo gesto, come Jef che canta ad alta voce, con la sua voce segnata dalla malattia, guardando il Santissimo Sacramento sull'altare, Poka moyo wangu ee Mungu Wangu. (Ricevi il mio cuore, o mio Dio, che io ti possa amare del tuo stesso amore). Dopo una veloce colazione a base di porrige, la mattina prosegue con diverse attività rivolte sia ai ragazzi che alle loro mamme. L' intento principale di questo momento e quello di offrire loro compagnia e affetto. Qui in Kenya la disabilità e spesso vista e vissuta con vergogna, come qualcosa da nascondere; molto spesso le mamme di questi bambini sono state abbandonate dai loro uomini, talvolta proprio per la condizione dei loro figli, altre sono in difficoltà di fronte alle necessità di cure e attenzioni particolari per i loro bambini e spesso faticano ad accettare e ad accogliere la condizione che si trovano a dover affrontare. Alcune di loro sono diventate esempio di carità per il modo con cui guardano e si prendono cura dei loro piccoli, come la mamma di Scolastica, una bambina con una disabilita molto grave, quasi per nulla in grado di entrare in relazione con ciò che la circonda, ma talora capace di rispondere accennando un sorriso alla voce e alle attenzioni della mamma. Il loro volto sereno e l'attenzione che riservano per tutti sono per me esempio e testimonianza e certamente una luce di speranza per tutte le altre mamme, in particolare quelle che faticano a sostenere la fatica loro chiesta. Ognuno di questi bambini è un dono ed ha doni particolari tutti da scoprire. Come ci diceva don Giuliano essi hanno, sicuramente, una particolare capacità di sorridere e una particolare sensibilità e semplicità nell’accogliere l'affetto ricevuto. L'età è molto variabile, ci sono bimbi di pochi mesi, come John, un sorridente bimbo di 7-8 mesi, paraplegico, che probabilmente non potrà mai camminare, fino a Lucy ormai adulta che fedelmente partecipa a questo gruppo fin dal suo inizio. In accordo con le possibilità di ciascuno si fa loro compagnia colorando e disegnando, facendo dei piccoli lavoretti con le perline, oppure giocando con la palla, raccontando qualche storia, o destando la loro attenzione (facendo cadere dei tappi colorati in un bicchiere, facendo suonare dei sassolini in un barattolo, ecc.) Per coloro che ne hanno bisogno c'è la possibilità di qualche seduta di fisioterapia. Le mamme intanto si ritrovano insieme per un momento di condivisione delle loro esperienze, mentre alcune di loro vengono coinvolte nel lavoro con i volontari. La giornata insieme finisce dopo il pranzo, con un canto e una preghiera di ringraziamento, in cui bambini e mamme sono a turno coinvolti. Tra quelli a cui sono più affezionata c'è sicuramente Jef, un ragazzo di 13 anni, con una spasticità grave, per cui scivola in continuazione dalla sua sedia a rotelle, incapace di adattarsi ai suoi movimenti. È un ragazzo brillante e vivace, sereno e sorridente. Mi colpisce il sorriso con cui è capace di accogliere chi si avvicina a lui e di ringraziare per ogni piccola attenzione. Non può scrivere, né disegnare, né fare nulla con le proprie mani, ma ama ascoltare semplici racconti. Quando la domenica qualcuno dei volontari lo accompagna a Messa il suo volto è raggiante. Con la maggior parte di loro e difficile comunicare verbalmente, a causa della loro condizione e del fatto che non conoscono o non usano l'inglese, ma sorprendentemente questo non e un ostacolo insormontabile nel rapporto tra di noi, fatto di piccoli gesti (come pranzare con loro, guardare i loro disegni, aiutarli nei movimenti, una carezza e un sorriso, ecc). È sorprendente la semplicità con cui si affezionano, riconoscendo stima e attenzione, sentendosi valorizzati. Mi commuove, ad esempio, vedere Samy, (un ragazzo di circa 14 anni, con cui verbalmente mi e difficilissimo comunicare a causa soprattutto della lingua) correre verso di me sorridendo, saltellando sulle sue gambe, piegate dalla malattia, per abbracciarmi non appena mi vede. Ogni volta mi ricorda di come non sia richiesta una particolare abilità, ma che l'amore e fatto di piccoli gesti, anche imperfetti, ognuno dei quali può avere un valore infinito, e di come il Signore se ne serva. Un altro ambito di semplice carità è la visita agli ammalati nelle case. Tutti i mercoledì mattina, in compagnia di un catechista della parrocchia, vado insieme ad Elena a visitare alcuni malati, portando loro l'Eucarestia. E' sorprendente il modo in cui veniamo accolti e la gratitudine che suscita anche la semplice nostra presenza. Paolina, una gracile signora di più di 90 anni, ci accoglie sempre dicendoci "oggi Gesù e venuto a visitarmi, mi ha mandato voi", ricordandomi e facendo crescere ogni volta la mia consapevolezza del fatto che il Signore si serve di noi, delle nostre mani, per raggiungere gli altri uomini e di loro per raggiungere noi, facendoci guardare continuamente a Lui. Mi colpisce vedere in alcune famiglie la capacità di stringersi attorno ai loro familiari nel momento della malattia, con disponibilità e solidarietà sorprendenti. Così accade per Francis, un uomo malato di cancro, in fase avanzata; non è mai solo, parte della famiglia è sempre con lui e tutti i presenti partecipano alla preghiera. Guardando queste persone diventa sempre più evidente come nella sofferenza ci sia bisogno di una compagnia, che sostenga o ridia speranza, ricordando l'amore di Cristo e che tutto in Lui e redento. Ci sarebbero tante altre cose da raccontare. Questo è solo un inizio della nostra missione qui, ma sicuramente ricco e affascinate. Desideriamo esser disponibili a servire il Signore amando e avendo cura delle persone che ci affida, scoprendo ogni giorno e nel tempo ciò che desidera da noi. Suor Monica
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Leo fashion night. Per l'ospedale di Niguarda
Il Leo Club Varese Host ha consegnato all'associazione "Con Andrea" il ricavato della nona edizione della "Leo fashion night" ,andata in scena nel Salone Estense del municipio di Varese. Il contributo, come era stato annunciato, sarà destinato a sostegno del progetto "Spazio Vita" dell'Ospedale Niguarda a Milano. All'evento erano intervenuti, tra gli altri, il presidente del Consiglio comunale di Varese Roberto Puricelli e molte autorità Lions. Protagonisti della serata erano stati alcuni professionisti dell’abbigliamento e della moda come NinnaMamma, Triple e Contempo, i giovani stilisti dell'istituto scolastico superiore "Olga Fiorini", e Cristina Croci per le acconciature. Sotto i riflettori anche il Foyer della danza di Varese, i volontari della Protezione civile di Busto Arsizio e Nuova Cief, che aveva fornito le creazioni floreali esposte in sala.
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La tenerezza dell'Infinito
Pubblichiamo, anche nella sezione "Rassegna" del sito, il testo dell’articolo di Lucia Bellaspiga che la rivista “Noi genitori & figli”, supplemento del quotidiano “Avvenire”, ha dedicato alla nostra esperienza nel numero del 23 dicembre 2012. di LUCIA BELLASPIGA Il sipario si è da poco chiuso, ma l'entusiasmo è ancora palpabile in Natalina e Gustavo Fazzini, 47 e 54 anni, i genitori di Andrea e di Chicco: «Abbiamo messo in scena il musical "La Bella e la Bestia", in cui sessanta ragazzini di Gavirate hanno recitato, cantato e ballato come dei veri professionisti. Ognuna delle tre repliche ha avuto il tutto esaurito e la standing ovation del pubblico ... Sono venute migliaia di persone a vedere lo spettacolo». Per intendersi, in proporzione è come se a Milano venissero a teatro in duecentosessantamila, «E oltre ai sessanta ragazzi, che hanno provato la parte per un anno, gli adulti hanno dato una mano alla compagnia "Oratorio San Luigi" per allestire le scene e confezionare i costumi», continua Natalina. Gli incassi, naturalmente, tutti in progetti di solidarietà sposati dall'intera popolazione. Che cosa avviene allora di speciale nella cittadina lombarda? Qual è, in tempi di crisi, il motore che accende tante passioni e scuote adulti e ragazzi dal male dell'indifferenza? Tutto parte da Andrea, il primo figlio di casa Fazzini, e paradossalmente dalla sua malattia, la stessa che il 6 dicembre del 2008 se l’è portato via, in realtà «lasciandolo tra noi molto più di prima», assicurano un po' tutti a Gavirate. Dove da quel giorno molte cose sono cambiate. È il 2 febbraio del 2008 quando Andrea, 17 anni, durante una visita medica sportiva (pratica il canottaggio) scopre di essere affetto da una delle rare forme di leucemia per le quali non esiste cura. È il terrore più nero che piomba sulla vita di tutti i giorni e la sconvolge, è l'incredulità che scuote la famiglia e gli amici, è il desiderio di lottare ma anche la consapevolezza che non c'è nulla da fare. All' ospedale San Matteo di Pavia, però, Andrea viene curato con amore e competenza fino all'ultimo respiro, rispettando i tempi e le esigenze del suo organismo, oltre alle sue anche minime volontà: «Tutti sapevamo, Andrea compreso, che non sarebbe guarito - raccontano i genitori e il fratellino Chicco - ma il San Matteo ancora a pochi giorni dalla morte gli ha procurato anche i medicinali più costosi. L’ematologa, Patrizia Zappasodi, ha dimostrato fino in fondo la sua profonda umanità, e non solo lei...». Tutti gli infermieri restano accanto a quel ragazzino, tanto che nell'ultima settimana di vita «facevano a gara per avere il turno nella stanza 2, quella di Andrea». Intanto anche Marco Pippione, preside del liceo scientifico paritario "Sacro Monte", da Varese non manca un solo giorno di telefonare all'alunno/amico e dirige lo staff di docenti di Pavia che lo tengono al passo col programma scolastico. Andrea studia e si impegna: fino all'ultimo giorno. Il 6 dicembre del 2008 alle 10 chiude gli occhi. L’infermiera che lo aveva accolto undici mesi prima, Federica, non sarebbe di turno ma è rimasta con lui tutta la notte. «Quel mattino l'intero reparto era lì a salutarlo e a pregare - ricorda sorridendo la madre -. E’ morto nel sonno, dato che la notte gli avevano fatto la terapia del dolore». Andrea sapeva bene come si muore, una scena che in quel reparto aveva visto spesso, così come conosceva lo strazio di chi resta, «per cui ci aveva fatto giurare che noi non ci saremmo disperati. Una notte, dopo la morte di un degente, sentendo il pianto della moglie mi mandò a consolarla, poi all'alba, quando sono tornata da lui, è stato chiaro: "Comunque io muoia, niente disperazione!". Per questo la prima cosa che abbiamo fatto non appena è spirato è stato affidare nostro figlio alla sua Mamma nuova. Non è una cosa facile per una madre, ma noi sapevamo che era già nell'abbraccio della Madonna, che era tornato dalla sua Mamma vera. Lo abbiamo preso per le mani e gli abbiamo detto proprio "ciao, Andrea, da questo momento vivi sotto il Suo manto". Da lì in poi resti avvolto in un dolore così immane che rischia di ucciderti ... Capisco che di dolore si possa morire». Se non che la famiglia di Andrea ha avuto invece la «grazia» di scoprire che la sofferenza, vissuta nella fede, può diventare persino gioia, capacità di portare luce, di contagiare nel bene e creare un circolo virtuoso senza fine. «Ogni giorno tante persone venivano da noi e ci dicevano che una piccola o grande opera di bene l'avrebbero fatta" con Andrea" . Dicevano proprio così, con Andrea, non per lui». Nel 2009 nasce quindi l'Associazione «con Andrea” e per Gavirate è un turbine inarrestabile di attività, i cui benefici arrivano fino all'altro capo del mondo (www.fondazioneconandrea.it) . «Il nostro obiettivo non è apparire, è solo servire. La sofferenza che noi familiari abbiamo accolto - spiegano i soci fondatori, tra i quali Giuliana e Gianfranco, sorella e fratello di Natalina - si trasforma ogni giorno in una gioia inspiegabile. Il Signore ci dà la grazia di incontrare sul nostro cammino persone sempre speciali, e questi incontri avvengono nei momenti in cui il dolore picchia di più, così, invece di annientarci, genera una letizia che non è facile spiegare, ma che nasce nel momento in cui fai qualcosa di importante per gli altri». Ecco allora il musical "La Bella e la Bestia", andato in scena a ottobre a Gavirate (e dalla prossima primavera in toumée in grandi teatri, da Varese a Lugano), i cui incassi hanno già permesso in concreto di salvare vite e portare sollievo a molte sofferenze. I proventi delle prossime recite andranno a favore di Luca Barisonzi, l'alpino ferito in Afghanistan e rimasto paralizzato dal collo in giù, che ha raccolto i fondi necessari per dotare l'ospedale di Niguarda di un macchinario per tetraplegici, ma anche al reparto di ematologia pediatrica di Pavia, dove vengono curati i bambini leucemici. «L'augurio è che l'amore vicendevole tiri fuori la bestia che c'è in noi e faccia emergere la vera bellezza», ha commentato prima dello spettacolo il parroco, don Piero Visconti. «Ciò che colpisce tutti - racconta Gustavo, il papà di Andrea - è il sorriso dei sessanta ragazzi che con serietà assoluta ci lavorano, non per salire su un palco ma tutti convinti di essere "con Andrea"». Ed ecco la vendita di panettoni, «un'idea che abbiamo avuto per Monica, un' amica suora missionaria di San Carlo Borromeo e medico, che in Kenia costruirà un dispensario. E avanti ancora con progetti piccoli o grandi, ma tutti "rivoluzionari" per la vita di qualcuno. Ad esempio il laboratorio di cucina costruito all'interno del nuovo ospedale materno e infantile "Ponte del Sorriso" di Varese, una struttura che consentirà di organizzare mini corsi per i piccoli ricoverati e favorirà lo sviluppo psico-fisico dei bambini ricreando un clima familiare: «Grazie anche ai giovani Lions, che con una sfilata di moda solidale hanno raccolto i fondi, i piccoli malati si divertono a impastare e infornare biscotti in pediatria - testimonia Chicco, 18 anni appena compiuti, che con i compagni di scuola dell'istituto alberghiero "De Filippi" va volontario a insegnare come si fa -. Anche l'associazione Panificatori ci dà una bella mano». "Solo una mamma che ha avuto il proprio figlio ricoverato può capire quanto sia importante avere un luogo del genere dentro l'ospedale” rimarca Natalina. C'e poi "La nostra Libreria", progetto nato invece nel reparto di Ematologia del San Matteo di Pavia, perché «La lettura ha sempre aiutato l'uomo a volare, anche quando intorno rutto sembra precipitare». Così, di volume in volume, l'idea di alcune infermiere è diventata realtà è la libreria accoglie «libri che attraverso il nutrimento dell' anima e della mente possono aiutare la cura». Non titoli a caso, ma «scelti, perché portino sempre l'amore per la vita, e nella dedica dell'autore esplicitino il senso del dono». Diversamente dalle altre biblioteche, qui non sono richieste procedure o schede da firmare, ma solo «lo stesso rispetto che si avrebbe per i propri libri». "La bellezza salverà il mondo", invece è una serata spettacolo ideata con le suore di clausura del Sacro Monte di Varese, le Romite Ambrosiane, diventate pietra miliare nella vita di Andrea quando meno se lo aspettava: «Sono tra gli incontri di cui parlavo prima di quelli che ti cambiano la vita - testimoniano Gustavo e Natalina -. Ci portammo Andrea e lui la prima volta si lamentava, "oltre alla leucemia pure le suore di clausura" ... Poi sono diventate la sua grinta, la forza della preghiera per tutti noi. Per questo Gavirate ha partecipato in massa alla presentazione del libro "Una casa sulla roccia", con testi delle Romite e i disegni del papà di una suora, un assoluto capolavoro». Infine il progetto che più appartiene ad Andrea, «un pozzo per l'acqua potabile costruito in Burkina Faso con Margherita Coletta, la moglie del brigadiere ucciso a Nasiriyah: Andrea negli ultimi giorni tuffava il viso nell'acqua per tenersi sveglio dalla morfina e vivere consciamente ogni minuto che gli restava. "Che bella l'acqua, mamma, pensa se non esistesse", esclamava. In pochi giorni Gavirate ha risposto all'appello e i 15mila euro necessari sono arrivati. Ed è questo il paradosso che Natalina vuole trasmettere, «il Mistero di un dolore assoluto, lancinante, che genera bellezza. La bellezza di Dio che salva il mondo ... O lo provi o a parole non si spiega tutto questo». A meno, forse, di non usare quelle di Andrea, il vero protagonista di questa storia, del quale non vedrete alcuna foto (qui, e nemmeno nel sito della sua associazione), «perché la foto è nostalgia, trasmette un ricordo, invece Andrea c'è». Qui vedrete invece la sua ultima lettera, scritta quando gli amici in partenza per Lourdes gli chiesero un'intenzione da rivolgere a Maria. Queste le volontà di un ragazzo di soli 17 anni condannato dalla leucemia: "Chiederti qualcosa per me sarebbe ovvio, scontato, ma soprattutto egoistico, quindi io ti prego principalmente per la mia famiglia, che superi indenne questo momento difficile. In particolare ti ringrazio per avermi dato delle persone così speciali accanto, che mi danno una grande spinta. Poi, se ti resta un po' di tempo per gettare un' occhiata anche a me, te ne sarei ancora più grato. Comunque sia fatta la tua volontà non la mia". «Siamo felici e questo stride, lo so, però vi assicuro che nella fede il dolore bussa, picchia, ma non ha il sopravvento».
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