Da Nasiriyah nuova vita in Burkina Faso. Anche con Andrea
di LUCIA BELLASPIGA
(dal quotidiano Avvenire)
Gli occhi sgranati ad aspettare l’evento. Poi un fruscio sconosciuto e infine il miracolo e un «ooooh» di meraviglia: è l’acqua, trasparente e pulita, che per la prima volta sgorga dal pozzo e zampilla attraverso un tubo. Difficile trattenere i piccoli, i primi a lanciarsi verso la magia, quell’acqua che esce a volontà solo girando una manopola: da impazzire di eccitazione. E infatti impazziscono, quei bambini, si buttano sotto il getto, ridono e si schizzano il prezioso liquido che fino a oggi avevano visto solo
stagnante sul fondo di un secchio.
Questo – e molto altro – succede in Burkina Faso, tra i Paesi più poveri al mondo, grazie a una giovane donna italiana e a migliaia di altri italiani da lei trascinati in una grande sfida per la vita, lanciata due anni fa e in questo Natale vinta. «Il nostro progetto era la costruzione di un orfanotrofio e di un pozzo per l’acqua potabile che potesse servire tutti i villaggi circostanti, perché qui i bambini muoiono come mosche non per malattie incurabili ma per i parassiti che infestano l’acqua – racconta Margherita Coletta, vedova del brigadiere dei carabinieri Giuseppe, morto a 37 anni il 12 novembre 2003 nella strage di Nasiriayh assieme ad altri diciotto italiani e a nove iracheni (molti dei quali bambini) –. Sono venuta in Burkina Faso nel luglio 2009 per porre la prima pietra e consegnare al vescovo i primi 10mila euro raccolti in Italia, ora ci sono tornata per la fase più bella: l’inaugurazione dell’orfanotrofio e del pozzo finalmente realizzati. Fino a pochi mesi fa qui c’era solo un rudere senza il tetto, fatto di fango e sterco, dove i bambini si andavano a infilare la notte per dormire... ». I lavori finora sono costati 52mila euro, dice Margherita, che di ciascun euro racimolato conosce l’origine e soprattutto la destinazione, conscia di come sia importante che nulla vada sprecato «perché c’è ancora tanto da fare».
MERITO DI UN BOTTONE
La diocesi è quella di Diebougou, il villaggio si chiama Kpakpare... Nomi e luoghi molto lontani dalla Sicilia, dove tutto ha avuto origine: di Avola era Giuseppe Coletta, noto come il Brigadiere dei bambini per il suo impegno costante a favore dei più piccoli nei luoghi straziati della terra, e nel suo nome Margherita porta avanti la sua appassionata missione attraverso l’Associazione Coletta Bussate e vi sarà aperto. E Cristo si è fermato ad Avola una mattina di due anni fa, quando nel negozio di oggetti religiosi di Margherita è entrato un sacerdote africano... per colpa di un bottone. «Gli si era sganciato il colletto bianco del clergyman – ricorda oggi – e mi chiese se potevo aiutarlo. Vide sul muro il ritratto di mio marito in divisa e mi chiese chi fosse. Gli raccontai di Nasiriayh e dell’associazione, che allora assisteva già tante famiglie italiane e di immigrati, oltre a portare aiuti in Iraq e in Albania, così padre Joseph mi chiese se me la sentissi di costruire un orfanotrofio in Burkina Faso... Penso spesso a come sarebbe andata se quel giorno non avesse perso un bottone: la Provvidenza prende le vie più impensate».
IL POZZO DI ELUANA
L’orfanotrofio ora c’è ed è bello, perché «dare solidarietà non significa svuotarsi gli armadi delle cose vecchie ma dare il meglio - sottolinea Margherita - , come faremmo per i figli nostri. Finché vivrò e avrò fiato continuerò a girare l’Italia per raccogliere fondi e concedere loro non il lusso ma la dignità di Persone». Il tutto in obbedienza e umiltà: «Noi non ci imponiamo, chiediamo sempre al vescovo di Diebougou, monsignor Raphael Dabiré, che cosa è più urgente, perché troppo spesso la beneficienza rischia di tradursi in opere inutili mentre manca l’indispensabile ». Prima che i trentadue bambini possano ora occupare le loro camerette, già arredate di tutto punto, mancano solo i due refettori, che saranno ultimati entro febbraio grazie alle risorse già confluite di nuovo nelle casse dell’Associazione Coletta, «in seguito andremo avanti ancora con una nuova ala dell’orfanotrofio per altri trentadue bambini, questa volta neonati, altri tre pozzi per l’acqua potabile e – la cosa più dispendiosa – un dispensario medico che servirà tutti i villaggi intorno». L’ala dei neonati sarà intitolata a
Madre Teresa di Calcutta, il dispensario a Carlo Urbani, il medico missionario morto di Sars nel 2003, e i tre pozzi futuri a Chiara Luce Badano (la giovane scomparsa nel 1990 e beatificata a settembre), ad Andrea (un ragazzo morto di leucemia lo scorso anno a Gavirate) e alla Provvidenza. «Ma il primo pozzo l’abbiamo dedicato a Eluana Englaro, che ho conosciuto di persona: a lei è stata tolta l’acqua, e lei continuerà a dissetare la gente e a salvare vite». L’immagine del suo volto ora sorride da una targa posta sulla struttura: «Durante la cerimonia io ho spiegato la sua storia e il vescovo la traduceva in francese per la popolazione – racconta Margherita –, quando ho detto che l’hanno lasciata morire di fame e di sete, c’è stato un mormorio incredulo e un uomo si è fatto avanti con queste parole: ma come, in Italia togliete l’acqua e la vita, e venite fin qui per dare l’una e l’altra a noi? Non si raccapezzava ».
IL SEME DI NASIRIYAH
L’orfanotrofio, invece, porta il nome e i volti dei diciannove uccisi a Nasiriyah, in gran parte carabinieri. «Non sapevo che avessero preparato una grande insegna con la foto di Giuseppe – racconta Margherita – e che tutti i bambini indossassero una maglietta col suo viso stampato sopra. È stato toccante quando il vescovo, che parla un italiano perfetto, ha letto uno per uno i nomi dei nostri diciannove ragazzi, mentre tutti, comprese le autorità civili, militari e religiose, ascoltavano in piedi a capo chino, sinceramente commossi». La cittadella della gioia dovrà ora riuscire ad andare avanti con le sue gambe, creando posti di lavoro e ingrandendosi sempre più, e ogni euro raccolto dall’Associazione sarà investito sul posto, perché è lì che l’economia dovrà girare. Il compito più arduo resta a padre Joseph, il cui cellulare suona di continuo; sono i servizi sociali che lo chiamano da Diebougou, ma anche dalla capitale Ouagadougou, e da tanti altri villaggi: ovunque ci sono bambini che attendono, «valuteremo il grado di necessità», allarga le mani il sacerdote. I lettini sono trentadue e altrettante le culle. Ma in fondo è solo l’inizio.
IL MIRACOLO DEI FONDI. CON ANDREA
Migliaia di italiani i «finanziatori». Sono decine di migliaia gli italiani che hanno finanziato, euro su euro, la costruzione dell’orfanotrofio e del primo pozzo, oltre all’acquisto degli arredi: si tratta dei quasi ventimila che hanno comprato il libro "Il seme di Nasiriyah" (ed. Ancora), i cui proventi vanno interamente all’Associazione Coletta, che così ha raccolto i primi 50mila euro. Si è messo così in moto un circolo virtuoso, che ha mosso a emulazione un gran numero di privati, decisi a
contribuire con piccole o grandi somme, tutte fondamentali. In particolare 10mila euro sono arrivati dalla Cena di Santa Lucia, che si tiene ogni anno a Padova. Nel nome di Andrea, invece, un ragazzo morto di leucemia due anni fa a Gavirate (Varese), i genitori Natalina e Gustavo Fazzini col figlio Chicco hanno coinvolto l’intera cittadina, arrivando a raccogliere i 15mila euro occorrenti per un secondo pozzo: «Che bella l’acqua, pensate se non
esistesse!», commentava Andrea, che negli ultimi giorni tuffava il viso nell’acqua per tenersi sveglio dalla morfina e vivere consciamente fino all’ultimo minuto. Dalla Brianza arrivano poi i 50mila euro per il dispensario: "Abbiamo tre splendidi figli e ci vogliamo bene raccontano F. e R. - , donare i nostri risparmi è il nostro modo di dire grazie a Dio".